Appunti di viaggio dopo Atalanta-Lecce 1-2
Gli appunti sparsi convergono verso una singola percezione. Che quella di Bergamo possa divenire la vittoria più importante della stagione. Lo sapremo solo fra qualche mese. Ma la percezione a mente calda è netta. Perché trattasi di vittoria poggiata davvero su qualcosa di incomprensibile. Mi spiego meglio: sembravano non esserci proprio le premesse per poter battere l’Atalanta tra le sue mura. Sembravano proprio mancare le basi per poter erigere una tale impresa. Le minime basi sindacali. Anzi, qualcuno temeva la cosidetta "imbarcata". Gli uomini di Gasperini arrivavano da un periodo scintillante. Chi li ha visti giocare recentemente ha parlato di una “Dea” nuovamente divina. Con uno spot divino andato in onda appena sette giorni fa all’Olimpico, spazzando via la Lazio quasi senza fatica. Noi sapevamo di doverci presentare al loro cospetto senza il nostro pilastro della difesa Umtiti e senza il nostro pilastro offensivo Strefezza. Le basi appunto. Se il Lecce ha edificato una tale impresa senza poggiarsi su queste basi allora il merito converge su Baroni. Capace di mettere in campo undici prodi a cui ha inculcato che l’unico modo per uscirne indenni era quello di asfissiare la Dea e ogni sua i-Dea. Opprimere ogni giocatore atalantino per 97 minuti di gioco e in ogni singola zolla del campo. E dalla aggressione poi passare all’assalto ad ogni occasione. L’unica cosa che Baroni forse non immaginava è che il piano sarebbe stato attuato con un gol di vantaggio, vista la fulminea rete di Cessay. E allora il modo per uscirne indenni è divenuto ben presto modo per erigere addirittura la vittoria. Senza premesse. Senza basi. Senza pilastri. Con l’ardore che più di ogni altra volta ci ha sbalordito e fatto gioire.
scritto da Diego Consales- Caporedattore leccesidentro.it
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