Appunti sparsi di una trasferta all'Olimpico.
Cielo grigio a Torino. Qui è la normalità. Ma il presagio di una domenica altrettanto incolore è veritiero. Prima di entrare nello stadio Olimpico servono ben 3 file. La prima è per fare un biglietto con un sistema talmente moderno che ci mette 4 minuti cada-spettatore per immettere i dati personali. Dietro di me alcuni tifosi del Lecce provenienti dalla Svizzera hanno in mano una risma di passaporti……chissà se hanno visto almeno il secondo tempo. Le altre due file interminabili ingorgano il prefiltraggio e i tornelli. Si entra nello stadio e subito si vedono sciarpe giallorosse sparse ovunque. Prima la gioia di vederle, poi la tristezza di non vederle nello stesso settore. Ci si saluta da lontano, con intorno i tifosi juventini che ti guardano. Incuriositi. Infastiditi. Hanno ragione anche loro, in fondo. Poi inizia la musica da disco e le canzoncine aiutate dai tabelloni luminosi in stile karaoke. Siamo in uno stadio ma sembra Disneyland. Con la maggior parte degli spettatori/visitatori che sembrano essere qui per la prima volta e, come i giapponesi, fanno le foto anche ai seggiolini e alle zolle di erba. La curva bianconera intona coretti per tutti, anche per l’aiutante-barista.
Finalmente si gioca. Il Lecce non vuole nascondersi. E gli scintillanti pantaloncini gialli lo aiutano nell’intento. I giallorossi giocano alla grande per mezz’ora. Ma un errore proprio e uno dell’arbitro fanno 2-0 per la squadra di Del Neri che equivalgono ad altre due canzoni dance sparate a tutto volume. In mezzo la mega-occasione di Corvia che poteva resuscitare la partita. Ma poi il Lecce scompare ed è dura arrivare al 90’ ingoiando altri due gol. L’ultimo è quello dei record di Del Piero, per il quale parte un roboante festeggiamento analogico-tecno-digitale pronto lì da chissà quanto. Fischio finale. La gente intorno fa partire commenti poco gradevoli di stampo razzista che come sempre è difficile digerire. Soprattutto se guardi in alto e oltre al cielo sempre più grigio vedi anche questo:
Foto e testo di Diego Consales
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