Qui arriva una piacevolissima sorpresa: stanchi, abbattuti, consapevoli delle nostre inferiorità tecniche, non ci siamo scoraggiati neanche per un minuto, abbiamo ricominciato subito a giocare provando di riacciuffarla per il rotto della cuffia. Una reazione bella, positiva e inaspettata, di quelle che "***, non ce ne frega niente se manca poco, siamo a San Siro, siamo brutti sporchi cattivi e facciamo schifo al ***, dobbiamo provare a recuperarla".
Un impeto d'orgoglio che ha fornito l'assist a Lui, la luce, il faro, il sol dell'avvenire, la rappresentazione plastica di tutto ciò che significa essere inferiori, esserne consapevoli, e buttare il sangue giorno dopo giorno per cercare di migliorarsi sempre, nonostante dio ti abbia montato i piedi al contrario e tutto il mondo sembra volerti relegato nelle peggiori serie del professionismo italiano: Marco Calderoni.
Quel Marco Calderoni prelevato da un Novara retrocesso in C, quel Marco Calderoni che ai microfoni di Pianetalecce diceva che il suo sogno era giocare in A, e avrebbe fatto di tutto per raggiungerlo, anche se l'età sembrava ormai un ostacolo insormontabile, quel Marco Calderoni che non ha mai avuto la struttura fisica per segnare alla Roberto Carlos in una serata piovosa nella scala del calcio, ma lui non lo sa e mina na bomba de 30 metri che umilia Donnarumma e 50mila milanisti.
In un un mondo in cui è sufficiente avere 20 anni, il procuratore giusto e mezzo spezzone di partita esaltante per saltare la gavetta a piè pari e raggiungere quotazioni vergognose in Società prestigiose, Marco Calderoni è il figlio del contadino che quell'ascensore sociale lo vuole prendere a tutti i costi, a forza di fare a spallate col mondo intero, per ribadire ancora una volta che il talento conta ed è importante, MA BUTTARE LU SANGU CONTA MOLTO DI PIÙ.
MARCO CALDERONI INDICACI LA VIA