Con Marco Baroni la “scuola toscana” torna al timone del club giallorosso, dopo che diversi suoi corregionali ne hanno scritto la storia.
Il Lecce e la Toscana sono unite da solido filo tessuto nel corso degli anni, soprattutto in epoca recente, dai tanti allenatori che hanno guidato, e spesso portato alla gloria, i giallorossi. Un rapporto particolare tornato in auge dopo l’annuncio dell’arrivo sulla panchina leccese di Marco Baroni da Firenze, nuovo condottiero per la stagione a venire. Ma torniamo al passato, ripercorrendo la lunga storia del rapporto tra il club salentino ed i tecnici toscani. In principio fu Pietro Piselli. E con principio intendiamo pressoché gli albori dell’Unione Sportiva Lecce, ovvero i primissimi anni trenta quando il neo(ri)nato sodalizio muoveva i primi passi nel calcio nazionale. E, dopo il torinese Ferrero e l’ungherese Plemich, fu un livornese giunto dalla Lazio a guidare i salentini ad un onorevole quattordicesimo posto in Serie B. La sua avventura durò appena una stagione. Ben 17 anni trascorsero prima di ritrovare un toscano al Carlo Pranzo. Era il 1948 ed un altro figlio di Livorno, Mario Magnozzi, tentò l’impresa disperata di salvare i Lupi salentini in B subentrato a Raffaele Costantino. Esonerato nel finale in favore del Plemich-quinquies, riconsegnò all’ungherese una squadra ventesima, e che in quella posizione concluderà il torneo. Pressoché identico il cammino del viareggino Euro Riparbelli nel 1955, quando subentrato sempre a Costantino non evitò la caduta in IV Serie al Lecce. In Serie C guiderà i giallorossi anche Ottorino Dugini, originario della provincia di Arezzo, che nel 1968/69 viene esonerato a nove turni dal termine: al suo posto farà meglio Eugenio Bersellini, anche se non riuscirà a centrare la promozione in B. A risollevare l’opinione sulla Toscana calcistica da parte dei leccesi ci penserà, e in grande stile, il mitico Eugenio Fascetti. Il secondo viareggino della storia giallorossa arriverà al Via del Mare nel 1983 e, dopo una stagione di prova, sarà il primo eroico allenatore a portare la Serie A nel Salento, non riuscendo nella doppia impresa di mantenerla. Qualche chilometro più a sud, a Piombino, nacque invece Nedo Sonetti, che dopo la deludente esperienza del 1993 si rifarà alla grande portando, con il suo calcio concreto (tipico della scuola toscana), il Lecce in A nel 1999. Tra i due Sonetti da segnalare l’esperienza senza acuti di Piero Lenzi, che nel 1995 accompagnò una deludente squadra al ritorno in C dopo vent’anni. Sei invece ne passarono dal trionfo firmato Sonetti all’illusione targata Silvio Baldini da Massa. Subentrato al flop Gregucci, il più verace tra i toscani giunti in giallorosso provò a far risalire la china ad un collettivo imbottito di talenti, non riuscendoci. Per i giallorossi fu retrocessione, non prima dell’esonero di Baldini. Dopo Fascetti e Sonetti, il terzo toscano a portare il Lecce in A è stato invece il pisano Giuseppe Papadopulo. Arrivato in luogo di Zeman per ricostruire un gruppo su basi quasi opposte a quelle del boemo, ci ha messo un anno e mezzo per portare i giallorossi alla gloria di una Serie A tanto sudata quanto meritata. Ci è riuscito attraverso i playoff, gli stessi che hanno invece punito (in C ed in semifinale) il maremmano Piero Braglia, autore di una bella rimonta ma battuto prima del traguardo da Benevento e Foggia. Cinque anni dopo, tocca a Baroni cercare di essere il quarto toscano vincente della storia del Lecce. (calciolecce)
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